La produzione italiana di pomodoro è orientata per il 90% circa al mercato interno. Difficile pensare che le importazioni marocchine possano incidere più di tanto in termini di pressione sui prezzi. Piuttosto, è vero che l’innalzamento delle temperature ha portato a una sovrapproduzione anche in Spagna e Marocco. Il che non ci ha aiutato nelle vendite all’estero.

Èquesta la fotografia del settore pomodoro scattata da Guido Grasso, titolare dell’azienda Dorilli.
A Vittoria, in provincia di Ragusa, l’azienda è specializzata nella produzione e vendita del ciliegino Kamarino, che viene proposto al cliente a condizioni qualitative e gustative elevate e costanti nel tempo. L’azienda siciliana produce ogni anno circa 800 tonnellate di pomodori, al 95% destinate all’estero; perlopiù verso Regno Unito, Svizzera e Germania.

L’accordo comunitario con il Marocco è letteralmente scellerato. L’Italia, poi, è stata completamente assente per quanto riguarda la difesa delle posizioni, mentre i Paesi del Nord Europa hanno fortemente supportato l’accordo. Parlo dei costi di produzione e di manodopera più bassi, delle condizioni meteo che portano alla saturazione e della chiusura del mercato russo. Insomma, chi ci ha rappresentato ha fatto poco o nulla. D’altra parte, anche la serricoltura siciliana (la produzione invernale di pomodoro è prevalentemente nell'isola, ndr) dovrebbe svegliarsi, attivarsi per un cambiamento. Basti dire che, di fronte a una produzione globale di qualità modesta, l’unico Paese europeo che deprime i consumi invernali di pomodoro è proprio l’Italia!.

Quasi una contraddizione nei termini, per il Belpaese. Fin qui i dati di fatto, poi l’opinione dell’operatore siciliano:

È riduttivo dare la colpa soltanto alla crisi – dice Grasso - Le nostre strutture devono adeguarsi al mondo che cambia e, con esso, ai consumi e alla percezione della qualità. I nostri costi sono troppo alti rispetto a Spagna e Marocco che, peraltro, hanno aumentato la qualità delle produzioni. Perdiamo terreno, dunque. Anche nelle nicchie premium, perché la domanda di qualità è aumentata ma le nostre strutture produttive non sono idonee a soddisfarla.
Bisogna scegliere la direzione in cui muoversi – continua l’imprenditore – e clausole di salvaguardia e stato di crisi sono un momentaneo rimedio ma non risolvono il problema. Ad esempio, non si parla mai di piani di sviluppo e di investimenti per migliorare le strutture e le produzioni.

E poi c'è un mito da sfatare sul concetto di qualità.

Il livello qualitativo di spagnoli e marocchini sulle commodity – aggiunge Grasso – è nettamente superiore al nostro, perché loro sono in grado di controllare quantitativi maggiori e di qualità costante, sebbene modesta. Sull’alto di gamma, poi, il divario aumenta all’estero. In Italia ha difficoltà ad affermarsi perché presenta costi elevati che male si incontrano con le esigenze della Grande distribuzione organizzata tradizionalmente servita dalle piattaforme distributive, che vivono sui grandi volumi.

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